In questa sua più recente opera (la prima stesura parziale in lingua inglese risale però al 1974) Elias sposta su un terreno nuovo la discussione sul tempo, sottraendola alla contrapposizione - propria del dibattito filosofico - tra concezioni "oggettivistiche" e "soggettivistiche". Il tempo non è "n‚ la 'riproduzione' di un flusso oggettivamente esistente, n‚ una forma di esperienza vissuta, comune a tutti gli uomini ed esistente prima di ogni altra esperienza". Esso è un prodotto (come tale "reale") sociale, esattamente come il linguaggio; e come il linguaggio serve per comunicare. È infatti, uno strumento elaborato socialmente per orientarsi nel gran flusso del divenire. Esso serve a "porre in relazione"; confrontare sequenze di avvenimenti irripetibili con sequenze standardizzate di avvenimenti uniformemente ricorrenti. Come tale costituisce una "sintesi simbolica" ad elevata complessità, capace di sincronizzare avvenimenti naturali, sociali, individuali. Ne deriva da un lato la forte carica di etero-costrizione esercitata dal tempo sugli individui: esso è una "istituzione sociale" tra le più potenti e dispotiche. Rappresenta la pressione esercitata dai molti sugli individui. Sincronizzando i singoli membri, "produce" in un certo senso il nesso sociale. Dall'altro lato tuttavia, esso è tra gli istituti sociali a più intensa interiorizzazione: interiorizzato a tal punto da apparire direttamente "naturale". Cosicché - e qui emergono i tratti più tipici delle tematiche di Elias - entra a far parte del processo di individualizzazione proprio delle società ad avanzata "civilizzazione", le quali appunto sono caratterizzate, a differenza da quelle anteriori, da un'elevata regolarità, sincronizzazione, formalizzazione dell'esperienza temporale.
scheda di Revelli, M., L'Indice 1986, n. 5